Castellana
Foto: Palmento di Villa Dell'Erba
IL TERRITORIO
Il territorio di Castellana Grotte, morfologicamente estremamente vario e raramente pianeggiante,
rappresenta nella sua complessità di segni e di usi l'eccezionale testimonianza del rapporto,
ormai millenario, tra l'uomo e l'ambiente che lo ospita, degli sforzi fatti da generazioni di contadini
di adattare un ambiente ostile alle proprie esigenze, senza azioni distruttive e senza mai violentarlo,
con un profondo rispetto delle sue caratteristiche e peculiarità.
Questo territorio presenta le tipiche caratteristiche dei paesaggi carsici, quali l'assenza di
corsi d'acqua superficiali dovuta alle fratture, e quindi all'alta permeabilità, delle rocce calcaree,
la morfologia ondulata, la presenza di depressioni più o meno grandi a forma di conca (le doline),
la presenza di affioramenti rocciosi, la presenza di un sottile strato di copertura costituito da terre rosse,
residuo insolubile della dissoluzione dei calcari, l'esistenza di numerosissime cavità sotterranee,
sia orizzontali che verticali, la formazione, nei mesi piovosi, di laghetti temporanei sul fondo delle depressioni.
Il clima è quello tipico mediterraneo, con un periodo di siccità estivo, inverni piuttosto miti e precipitazioni
concentrate nei mesi autunnali e invernali.
Eventi: la Madonna della Vetrana
Specchia di Selvafina - Foto di Pino Bova
LA FLORA E LA FAUNA
Il territorio di Castellana, fino a tempi non lontanissimi ricco di vegetazione spontanea, appare oggi caratterizzato, in seguito alle attività continua di disboscamento e di sostituzione degli antichi boschi, dalla presenza delle colture arboree tipiche della Murgia di sud - est, quali l'olivo, la vite, il mandorlo, il ciliegio, con quest'ultima che negli ultimi anni sta prendendo il sopravvento sulle altre.
Degli antichi ed estesi boschi di querce restano oggi pochi lembi relitti, concentrati soprattutto in direzione di Alberobello, per un'estensione pari a circa il 3% del territorio comunale, ancora oggi utilizzati per ricavare legna da ardere e come area di pascolo. I boschi relitti sono infatti tutti governati a ceduo matricinato, sono cioè boschi periodicamente tagliati per ricavare legna da ardere, preservando alcuni alberi, detti appunto matricine.
Le querce sono l'essenza arborea più diffusa, con la presenza di tre diverse specie: il leccio (Quercus ilex), la roverella (Quercus pubescens) e il fragno (Quercus trojana), pianta transbalcanica e specie simbolo della Murgia di sud-est, rinvenibile in Italia solo in quest'area e in una ristretta area intorno a Matera. Potenzialmente il territorio di Castellana è adatto anche alla quercia spinosa (Quercus coccifera), forse eliminata nei secoli passati dai contadini a favore di altre specie quercine, perché non appetita dal bestiame.
Ulivo - Foto di Pino Bova
Di estremo interesse, per dimensione e maestosità (un fragno in contrada Masseriola raggiunge per esempio i 310 centimetri di circonferenza) , sono i numerosi alberi di quercia isolati al centro dei coltivi, in corrispondenza di specchie e parietoni o lungo le strade rurali, testimonianza della presenza degli antichi boschi in un'area ben più vasta di quella attuale.
Tra le piante più diffuse nel sottobosco e nelle aree di macchia vanno ricordate la fillirea, il biancospino, la dafne, il viburno, il cisto, il lentisco.
La fauna è quella tipica dei territori fortemente antropizzati ma ancora ricchi di nicchie ecologiche e di microambienti favorevoli, quali sono per esempio le migliaia di chilometri di muretti in pietra a secco, rifugio per insetti, rettili, anfibi e micromammiferi.
Ingresso chiesa di S. Bartolomeo - Foto di Pino Bova
LE CHIESE RURALI
1 - SAN BARTOLOMEO DE PALUDE (o di Padula)
Tra le numerose chiese rurali presenti nel territorio di Castellana un ruolo eccezionale riveste quella di San Bartolomeo de Palude, la cui concezione progettuale e la cui spazialità si discosta nettamente dagli schemi usuali, diventando un modello unico e per questo ancora più prezioso, per quanto per troppo tempo in stato di abbandono.
In ragione della tecnica costruttiva e della spazialità è possibile ascrivere tale originale organismo architettonico ad un periodo compreso tra l'VIII e il X secolo; un documento scritto del 1180 (una bolla pontificia spedita da papa Alessandro III a Stefano, vescovo di Monopoli, contenente l'elenco delle chiese ricadenti sotto la sua giurisdizione) attesta che in località "de Palude" esistevano in quella data tre chiese, quella di San Bartolomeo appunto, e quelle di S. Stefano e S. Martino di cui ben poco si sa e di cui non resta traccia.
La chiesa, completamente isolata, è disposta su un declivio.La pianta di San Bartolomeo è di forma quadrangolare (con lato di circa cinque metri) con due absidi abbinate; l'asse longitudinale è orientato nord-ovest sud-est e la cupola si raccorda al volume inferiore tramite quattro trombe angolari;
sulle pareti laterali della chiesa si leggono ancora le tracce di quattro piccole nicchie, due vicino all'ingresso e due in prossimità delle absidi.
Quattro strette aperture, poste a 4.50 metri dal livello del pavimento e posizionate in corrispondenza dei due assi principali, illuminavano la chiesa, mentre non è possibile sapere se esistevano aperture simili in corrispondenza delle absidi.
Il pavimento della chiesa è posto a circa 1.20 metri al di sotto della quota del terreno circostante.
L'assetto esterno della chiesa è composto da due parallelepipedi, a base quadrangolare sovrapposti; il parallelepipedo superiore si arretra rispetto a quello inferiore su tre lati, allineandosi con quello inferiore solo sul lato dove si apre l'ingresso.
Le attuali condizioni dell'edificio rendono difficile ipotizzare la soluzione adottata per raccordare questi arretramenti (forse coperti da chiancarelle) o immaginarsi l'assetto dell'estradosso della cupola.
E' da segnalare l'azione intrapresa dall'associazione CE.RI.CA. di Castellana per la salvaguardia di tale monumento, abbandonato da troppi anni e in un deprecabile stato di degrado che ne comprometteva la stessa sussistenza; tale azione ha portato, nel 1992 attraverso una sottoscrizione, all'acquisizione della chiesa e del terreno circostante e alla contestuale donazione al patrimonio pubblico di Castellana.
2 - SAN NICOLA DI GENNA
Altra interessante testimonianza nelle campagne di Castellana è la chiesetta di S. Nicola, risalente al secolo XVI e localizzata nel luogo di incontro di ben sette strade.
Una vasta area collinare intorno alla chiesa faceva parte dell'esteso Feudo di Genna, un tempo caratterizzato dalla diffusa presenza delle vigne.
Numerose tracce, in particolare ritrovamenti ceramici, disseminate nel terreno intorno alla chiesa testimoniano come tutta la zona fosse abitata in epoca medioevale e forse anche nei secoli precedenti.
Nelle vicinanze della chiesa si può osservare, seppure in stato di abbandono e di avanzato degrado, la neviera di S. Nicola di Genna, vano ipogeo datato 1788 e usato per ottenere il ghiaccio dalla neve in modo naturale e conservarlo fino ai mesi estivi.
A sud della chiesa, a poche decine di metri, è invece visibile il "Muro di Genna", resti di un antico mulino o di una preesistente torre medievale.
L'interesse dell'antico feudo di Genna è inoltre arricchito dalla presenza di boschi relitti e di numerosi altri manufatti sparsi (quali la Foggia Scoverta, i Pozzi di Genna, un antico palmento), a dimostrazione del secolare rapporto tra l'uomo e il suo ambiente.
Vasca del palmento di S. Stefano - Foto di Pino Bova
GLI ANTICHI PALMENTI
Il territorio rurale di Castellana è caratterizzato dalla presenza diffusa degli antichi palmenti (palummiendi), testimonianza della diffusione in quest'area della coltura della vite nei secoli passati e dell'importanza che la produzione del vino aveva nell'economia locale.
I palmenti sono strutture realizzate in pietra locale nelle immediate vicinanze del luogo di produzione, realizzati dal singolo proprietario o da gruppi di contadini laddove la proprietà terriera risultava molto frazionata.
Sono costituiti da una grande vasca centrale in genere quadrata (tre metri per tre nella maggior parte dei casi, profonda circa 75 centimetri), da una cisterna sottostante per la raccolta del mosto, da un pozzo per l'acqua, da due pile in pietra e in alcuni casi da una furnedda.
L'uva veniva posta nella vasca e pigiata dai piedi degli addetti ai palmenti (i palmentari); il mosto prodotto da questa prima pigiatura confluiva nella cisterna sottostante tramite una apposita canaletta.
Successivamente le vinacce, ammassate nella vasca centrale, venivano sottoposte a torchiatura mediante la scrofola, uno spesso tavolone di quercia che veniva fatto scendere avvitandosi lungo una colonna, anch'essa in legno di quercia, alta circa due metri, dotata di filettatura e incassata in un foro ricavato al centro della vasca centrale del palmento; la torchiatura avveniva a mano spingendo la varra, una leva applicata su un lato della scrofola.
Dopo la prima torchiatura, le vinacce venivano disfatte e rimescolate con una discreta quantità d'acqua riscaldata sulla vicina furnedda; rivivificate le vinacce venivano poi sottoposte ad una nuova torchiatura.
L'ultima operazione consisteva nella preparazione del colore, ossia nella bollitura di una porzione del mosto prodotto, in genere un decimo del totale, che permetteva, oltre ad una migliore conservazione del prodotto, anche di ottenere un colore più intenso.
Il colore veniva poi mescolato al mosto raccoltosi nella cisterna sottostante la vasca centrale e solo dopo si poteva quartisciare, ossia attingere il mosto dalla cisterna con un recipiente detto appunto quarta; il mosto veniva quindi versato nelle pile per ricavare le giuste quantità da inviare, a dorso di mulo o di asino, alle cantine del paese.
La maggior parte dei palmenti disseminati nelle campagne di Castellana sono scoperti, ma ne esistono alcuni, monumentali, coperti da volta in pietra poggiante su quattro pilastri, ed altri ancora inseriti in appositi locali adiacenti a case rurali (questi ultimi presentano il torchio incassato in uno dei muri perimetrali, nella medesima maniera di come si rinviene nei trappeti oleari).
L'epoca di costruzione dei palmenti, come si ricava dalle date ancora leggibili sulle murature, varia tra il Cinquecento e l'inizio dell'Ottocento.
Il più antico è datato infatti 1583, localizzato in contrada La Cupa, mentre al 1618 risale invece il palmento coperto di Sciuannedda, il più antico tra quelli coperti.
Numerosi i palmenti risalenti al Settecento: del 1711 un palmento appartenente ai Paolotti; del 1717 il palmento coperto, monumentale, detto di Torre di Mastro; del 1734 il palmento del Casino del Grillo.
Nell'Ottocento compaiono i palmenti alla moderna (palummiendo alla muterna), caratterizzati dalla presenza di una torretta in muratura che ospitava il torchio: tra i palmenti alla moderna interessante quello in Contrada Pisciamiero, il cui nome già denota la diffusione della coltura della vite e l'abbondanza della produzione di vino in quest'area.
Interessanti infine i palmenti ricavati all'interno di trulli, con la base e il pavimento del trullo stesso che assumono la funzione della vasca palmentaria.
Numerosi palmenti sono poi concentrati nell'area della collina di Genna, a dimostrazione di come la vite era coltivata in particolare nelle aree collinari; nelle zone più pianeggianti del territorio di Castellana i palmenti sono infatti meno numerosi di di più piccole dimensioni.
Oggi molti palmenti, come numerosissimi altri manufatti in pietra tipici della cultura contadina di questo territorio, versano in pessimo stato di conservazione: molti sono stati completamente cancellati dalle "operazioni di miglioramento fondiario", altri sono stati oggetto di depredazione dei principali elementi in pietra, quali per esempio le pile, numerosi altri risentono dell'abbandono e della mancanza di opportune opere di manutenzione in grado di preservare quest'eccezionale patrimonio di segni della cultura di un territorio.
Testo tratto da www.terredelmediterraneo.org
Si segnalano le pubblicazioni:
CE.RI.CA: "Castellana Grotte e il suo territorio", Fasano 1997
D. Blasi: "Adottare San Bartolomeo" in UdP, Riflessioni 1991
A. Totaro: "Aie fogge palmenti trulli e l'assalto dei nuovi vandali" in UdP, Riflessioni 1990
L. Mongiello: "Chiese di Puglia. Il fenomeno delle chiese a cupola", Bari 1988
F. Vita: "Ultimi lembi di bosco a Castellana Grotte" in UdP, Verde 1987
D. Mastromarino: "Testimonianze di antichi palmenti" in Umanesimo della Pietra, Riflessioni 1986
Si segnalano inoltre i siti web:
www.comune.castellanagrotte.ba.it
www.grottedicastellana.it
www.gruppopugliagrotte.it